Majjhima Nikāya 141

Saccavibhanga Sutta

Determinazione della verità

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Benāres, alla Pietra del Vate, nel parco delle gazzelle. Là il Sublime si rivolse ai monaci: “Dal Compiuto a Benāres, alla Pietra del Vate, nel parco delle gazzelle, è stata messa in moto l’incomparabile ruota della Dottrina, che non può essere ostacolata da alcun asceta, sacerdote, dio, cattivo o santo spirito, o da chiunque altro al mondo. Essa è l’annunciazione, l’esposizione, la dichiarazione, la dimostrazione, la rivelazione delle quattro sante verità: le sante verità del dolore, dell’origine del dolore, della fine del dolore e della via che conduce alla fine del dolore. Seguite, monaci, Sāriputto e Mogallāno; riferitevi a loro: i monaci sapienti sono i benefattori dei loro condiscepoli. Quasi come una genitrice è Sāriputto; quasi come una nutrice è Mogallāno. Sāriputto guida al frutto dell’audizione; Mogallāno al sommo bene. Sāriputto può estesamente rivelare le quattro sante verità.”

Questo disse il Sublime, poi, si alzò e rientrò nella dimora.

Poco dopo l’on. Sāriputto si rivolse ai monaci: “Qual è la santa verità del dolore? Nascita è dolore, vecchiaia è dolore, morte è dolore; sono dolore tristezza, afflizione, tormento, strazio, disperazione e non ottenere quel che si brama: insomma, i cinque tronchi dell’attaccamento sono dolore. E che è, amici, la nascita? Quel che dei diversi esseri in ogni classe di esseri è nascita, rinascita, produzione, generazione, rigenerazione, manifestazione dei cinque tronchi [dell’individualità], l’assunzione delle sedi [dei sensi]: questo si chiama nascita. E che è, amici, la vecchiaia? Quel che dei diversi esseri in ogni classe di esseri è invecchiamento, decadimento, consumazione, incanutimento, raggrinzamento, appassirsi della vita, alterarsi dei sensi: questo si chiama vecchiaia.

E che è, amici, la morte? Quel che dei diversi esseri in ogni classe di esseri è sparire, svanire, dissolversi, trapassare, defungere, morire, compiere il tempo, la disunione dei tronchi, la decomposizione del cadavere: questo si chiama morte.

E che è, amici, la tristezza? Quello di chi incorre in questa o quella perdita, di chi prova questo o quel dolore è sconforto, cordoglio, interno affanno, interna angoscia: questo si chiama tristezza.

E che è, amici, l’afflizione? Quello di chi incorre in questa o quella perdita, di chi prova questo o quel dolore è affliggimento, lagnanza, lamento e tribolazione: questo si chiama afflizione.

E che è, amici, il tormento? Quello che è dolore corporeo, tormento corporeo, dolore di contatto fisico che si prova come sofferenza: questo si chiama tormento.

E che è amici, lo strazio? Quello che è dolore spirituale, tormento spirituale, dolore di contatto mentale che si prova come sofferenza: questo si chiama strazio.

E che è, amici, la disperazione? Quello di chi incorre in una perdita, di chi prova un dolore è struggersi, affannarsi, accasciarsi e disperarsi: questo si chiama disperazione.

E che dolore è il non ottenere quel che si brama? Negli esseri soggetti alla nascita, sorge questo desiderio: ‘Ah, se noi non fossimo soggetti alla nascita, se la nascita non ci sopravvenisse!’ Ma ciò non si ottiene col bramare, e non ottenere ciò che si brama: questo appunto è dolore. Negli esseri soggetti alla vecchiaia, alla morte, alla tristezza, all’afflizione, al tormento, allo strazio e alla disperazione sorge questo desiderio: ‘Ah, se tutto ciò non ci accadesse!’ Ma ciò non si ottiene col bramare, e non ottenere ciò che si brama: questo appunto è dolore.

E che dolore sono i cinque tronchi dell’attaccamento? Questo: i tronchi dell’attaccamento alla forma, alla sensazione, alla percezione, alla concezione, alla coscienza sono i cinque attaccamenti che danno dolore.

E che è, amici, la santa verità dell’origine del dolore? È questa sete, legata all’esistenza, congiunta al piacere della soddisfazione che si appaga qua e là: è la sete del sesso, dell’essere e del benessere.

E che è, amici, la santa verità della fine del dolore? È l’estinzione e la fine assoluta, l’abbandono, la rinuncia, la liberazione, il distacco da questa sete.

E che è, amici, la santa verità della via che conduce alla fine del dolore? È appunto questo santo sentiero ottopartito, ossia: retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retta meditazione, retto raccoglimento.

E che è, amici, retta cognizione? È conoscenza del dolore, della sua origine, della sua fine, della via che conduce alla sua fine.

E retta intenzione? È intenzione di rinunciare, di non odiare, di non nuocere.

E retta parola? È astensione da menzogna, da calunnia, da ingiuria, da vaniloquio.

E retta azione? È astensione dal togliere la vita ad altri esseri, dal prendere il non dato, dall’indulgere alla lussuria.

E retta vita? Ecco, amici, il santo discepolo, abbandonando la falsa vita, sostenta la vita con mezzi non biasimevoli.

E il retto sforzo? Ecco, amici, un monaco desta e sforza la volontà, s’arma d’energia, prepara l’animo alla lotta per non far sorgere, non sorte, malefiche cose; per abbattere, già sorte, malefiche cose; per far sorgere, non sorte, benefiche cose; per far restare, moltiplicare, sviluppare, completare, già sorte, benefiche cose.

E la retta meditazione? Ecco, amici, un monaco dimora nel corpo considerando il corpo; dimora nelle sensazioni considerando le sensazioni; dimora nell’animo considerando l’animo; dimora tra le cose considerando le cose: sempre vigilante, cosciente, meditante, lungi dalle brame e dalle cure del mondo.

E il retto raccoglimento? Ecco, amici, un monaco, ben lungi da brame, da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione; dopo compimento del sentite e pensare, raggiunge l’interna calma, l’unità dell’animo, la libera di sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità, la seconda contemplazione; in serena pace dimora egli equanime, savio, chiaro cosciente, provando nel corpo quella felicità di cui i santi dicono ‘l’equanime savio vive felice’, e così raggiunge la terza contemplazione e, dopo rigetto di gioie e dolori, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, egli raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione.

Questo disse l’on. Sāriputto. Contenti quei monaci approvarono il suo dire.