Majjhima Nikāya 3

Dhamma dāyada Sutta

Eredi della dottrina

Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sāvatthī, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anāthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci così:

“Monaci, siate eredi della dottrina, non eredi del bisogno. Ve lo dico per compassione e per evitare critiche da parte della gente. Se io a mezzogiorno ho finito un pasto sufficiente, adeguato, e sono abbastanza sazio, ma mi avanza ancora un po’ del cibo elemosinato che dovrebbe essere gettato, e mi si presentano due monaci stanchi e affamati, io li inviterò.”

Uno dei due monaci potrebbe pensare:

“Se non accetto, il Sublime dovrà gettare l’avanzo, secondo consuetudine, in un luogo dove non ci sia erba o in acqua corrente”.

Egli ricorda l’insegnamento del Sublime che esorta a essere eredi della dottrina e non del bisogno, quindi si propone di rinunciarvi e, pur affamato e stanco com’è, di resistere sino al mezzogiorno dell’indomani.

L’altro monaco, pur consapevole di tutto ciò, accetta l’avanzo per vincere la fame e la stanchezza. Legittimamente il secondo monaco ha accettato l’avanzo, ma il primo è più degno e meritevole perché il suo comportamento lo farà avanzare sempre più nella moderazione, nella contentezza, nella semplicità e nella perseveranza.

Così parlò il Sublime, e, alzatosi, rientrò nell’eremo.

Subito dopo prese la parola l’onorevole Sāriputto:

“Fratelli monaci, ora che il Maestro si è ritirato, in che modo i discepoli trascurano la solitudine, in che modo la curano?”

E i monaci:

“Verremmo anche da lontano per ascoltare la tua parola, fratello; parla, terremo a mente le tue parole”.

Allora Sāriputto:

“Così voi, discepoli del Maestro che vive solitario, trascurate la solitudine: non disprezzate ciò che Egli ha indicato come spregevole; diventate pieni di pretese e importuni, cercate la compagnia e fuggite dalla solitudine come un grave peso. In tal modo i fratelli più anziani si vergognano per tre cose: primo, che non amate la solitudine; secondo, che non disprezzate ciò che il Maestro ha indicato come spregevole; terzo, che cercate compagnia evitando la solitudine. Ciò fa vergognare i fratelli più anziani, ma anche quelli medi e quelli nuovi. E in che modo voi curate la solitudine: disprezzando ciò che dev’essere disprezzato; non diventando pretenziosi e molesti; evitando la compagnia come grave peso e ricercando la solitudine.

Queste sono le cose che fanno onore ai monaci più anziani come a quelli medi, come a quelli nuovi. Ora, fratelli, osservate: la brama fa male e l’avversione fa male. C’è una via di mezzo per sfuggire ad esse: una via che rende veggenti e sapienti, che produce sollievo, chiara visione che conduce al risveglio, all’estinzione. E’ questo santo sentiero ottuplice, cioè: retti cognizione, intenzione, parola, azione, vita, sforzo, sapere, raccoglimento. E ira e discordia fanno male, fratelli, e così pure fanno male ipocrisia e invidia, gelosia ed egoismo, inganno e astuzia, ostinazione e violenza, superbia e vanità, accidia e negligenza.”

Così parlò l’onorevole Sāriputto. Contenti si rallegrarono quei monaci della sua parola.