Majjhima Nikāya 38
Mahātanhāsankhaya Sutta
Annientamento della sete (2)
Questo ho sentito. Una volta soggiornava il Sublime presso Savatthi, nella selva del Vincitore, nel parco di Anathapindiko. Ora in quel tempo, un monaco di nome Sati, il figlio di un pescatore, aveva concepito questa falsa opinione: “Così comprendo io la dottrina annunziata dal Sublime, che cioè questa nostra coscienza nel giro delle mutevoli esistenze persiste, immutabile.”
Venne ora alle orecchie di molti monaci che Sati, il figlio del pescatore, aveva concepito questa falsa opinione, ed essi si recarono presso di lui per chiedergli se fosse vero che lui avesse concepito tale falsa opinione, che cioè questa nostra coscienza, nel giro delle mutevoli esistenze persiste, immutabile. Ed essi vollero distogliere Sati da codesta falsa opinione e gli parlarono così: “Non parlare così, o fratello Sati, non correggere il Sublime, Egli non può aver detto ciò: in varia guisa, fratello Sati, venne spiegata dal Sublime la natura condizionata della coscienza senza ragione sufficiente non ha origine la coscienza “.
Ma Sati, sebbene così sollecitato, richiamato ed ammaestrato dai confratelli, si tenne tenacemente fermo a quella falsa opinione. I monaci allora si recarono là dove il Sublime dimorava e Gli riferirono la falsa opinione di Sati, il figlio del pescatore. Il Sublime fece dunque venire presso di sé Sati e gli chiese se corrispondeva a verità ciò che i monaci gli avevano riferito. Così rispose Sati, il figlio del pescatore: “Così è appunto, o Signore, io concepisco così la dottrina annunziata dal Sublime, che questa nostra coscienza, nel giro delle mutevoli esistenze persiste, immutabile, ed essa coscienza è sempre uguale a se stessa e gode qua e là la ricompensa alle buone e cattive azioni.”
—Da chi hai tu dunque sentito, o uomo vano, che io abbia annunciato una tale dottrina? Non ho forse io, o vano, spiegato in varia guisa la natura condizionata della coscienza: senza ragione sufficiente non ha origine la coscienza? Ma malintesamente, o vano, tu ci vuoi correggere e scavi a te stesso la fossa e ti procuri grave danno. Ciò ti riuscirà, o vano, largamente di danno, di dolore. Ora io interrogherò i monaci. Anche voi, o monaci, avete inteso la dottrina come Sati, il figlio del pescatore?
—Veramente, no, o Signore.
—E’ bene dunque, o monaci, che voi comprendiate così l’annunziata dottrina: per qualsiasi ragione, voi monaci, abbia origine coscienza, proprio per quella, e solo per quella, essa viene a determinarsi. Mediante la vista e le forme viene a determinarsi coscienza visiva. Mediante l’udito e i suoni viene a determinarsi la coscienza uditiva. Mediante l’olfatto e gli odori viene a determinarsi la coscienza olfattiva. Mediante il gusto e i sapori viene determinarsi la coscienza gustativa. Mediante il tatto e i contatti, viene a determinarsi la coscienza tattile. Mediante il pensiero e le cose ha origine la coscienza mentale. Così come il fuoco, per qualsivoglia ragione arda, proprio per quella e solo per quella brucia: se è nutrito da legno è fuoco di legna; se è nutrito da fascina sarà fuoco di fascina; se è nutrito da erba, sarà fuoco di erba; se è stabbio, sarà fuoco di stabbio; se è nutrito da paglia, sarà fuoco di paglia; se è fuoco di spazzatura sarà fuoco di spazzatura; alla stessa stregua la coscienza, per qualsiasi ragione abbia origine, proprio per quella e solo per quella viene a determinarsi.
Questo è originato, con tale alimento s’è formato, con la dissoluzione di tale alimento ciò che è originato ricade nella legge della dissoluzione. Se si comprende ciò, voi monaci, conforme alla verità, con perfetta sapienza, svanisce allora il dubbio.
Se ora, voi monaci, voleste non attaccarvi a questa cognizione così purificata, così rischiarata, non dilettarvici, non averla cara e non pregiarla come vostra, allora, voi monaci, l’annunziata dottrina sarà come una zattera, atta a salvarsi, non a tenere.
Quattro specie di alimento, voi monaci, esistono per conservazione e sviluppo degli esseri: alimento, contatto corporale, percezione spirituale, coscienza. Queste quattro specie di alimento sono radicate, sorgono, nascono e crescono dalla sete. E dove è radicata, sorge, nasce e cresce questa sete? La sete è radicata, sorge, nasce e cresce dalla sensazione. E dove è radicata, sorge, nasce e cresce questa sensazione? La sensazione è radicata, sorge, nasce e cresce nel contatto. Il contatto sorge, nasce, e cresce nella sede dei sei sensi [vista, udito, olfatto, gusto, tatto, mente].La sede dei sei sensi sorge, nasce, e cresce da immagine e concetto. Immagine e concetto sorgono, nascono e crescono dalla coscienza. La coscienza è radicata, cresce e nasce dalle distinzioni. Le distinzioni sono radicate, crescono e nascono dalla ignoranza.
In questo modo dall’ignoranza hanno origine le distinzioni, dalle distinzioni la coscienza, dalla coscienza immagine e concetto, da immagine e concetto la sestupla sede, dalla sestupla sede il contatto, dal contatto le sensazioni, dalla sensazione la sete, dalla sete l’attaccamento, dall’attaccamento il divenire, dal divenire la nascita, dalla nascita vecchiaia e morte, guai, sofferenze e pene, strazio e disperazione: così viene a determinarsi la formazione di questo intero tronco di dolore.
Dalla nascita ha origine vecchiaia e morte; dal divenire ha origine la nascita; dall’attaccamento ha origine il divenire; dalla sete ha origine l’attaccamento; dalla sensazione ha origine la sete; dal contatto ha origine la sensazione; dalla sestupla sede ha origine il contatto; da immagine e concetto ha origine la sestupla sede; dalla coscienza ha origine immagine e concetto; dalle distinzioni ha origine la coscienza; dall’ignoranza hanno origine le distinzioni.
Bene, voi monaci, ora voi esprimete ed io esprimo che se quello è, questo ne viene di conseguenza; ma mediante la completa, perfetta distruzione dell’ignoranza si distruggono le distinzioni; dalla distruzione delle distinzioni la coscienza; dalla distruzione della coscienza immagine e concetto; dalla distruzione di immagine e concetto la sestupla sede; dalla distruzione della sestupla sede il contatto; dalla distruzione del contatto la sensazione; dalla distruzione della sensazione la sete; dalla distruzione della sete l’attaccamento; dalla distruzione dell’attaccamento il divenire; dalla distruzione del divenire la nascita; dalla distruzione della nascita si distrugge vecchiaia e morte, guai, sofferenze e pene, strazio e disperazione: così viene a determinarsi la distruzione di questo intero tronco del dolore.
In questo modo dunque, voi monaci, voi non dite che ciò che avete voi stessi meditato, conosciuto, compreso. Chiara e trasparente è questa dottrina, senza tempo, animante, invitante, ad ogni intelligenza intelligibile. Se questo fu detto, perciò fu detto.
Se tre si uniscono, voi monaci, si forma un feto. Ma se padre e madre sono uniti e la madre non è nel suo tempo e il genio non è disposto, non si forma alcun feto. Anche se padre e madre sono uniti e la madre è nel suo tempo ma il genio non è disposto, non si forma alcun feto. Però, voi monaci, se padre e madre sono uniti, la madre è nel suo tempo, e il genio è disposto, allora con l’unione dei tre si forma un feto. E la madre porta tale feto nel grembo per nove o dieci mesi con grande angoscia, un grave peso. Trascorso tale tempo, la madre partorisce; e quando questo rampollo è nato, ella lo nutre col latte materno. Questo bambino in seguito cresce, a poco a poco va maturando, fa giochi ed esercizi coi suoi compagni; in seguito si sviluppa e diventa maturo e vive e si muove nelle cinque facoltà di bramare: delle forme penetranti per la vista nella coscienza le desiate, amate, appaganti, grate, corrispondenti alle brame, eccitanti forme; dei suoni penetranti per l’udito nella coscienza i desiati, amati, appaganti, grati, corrispondenti alle brame, eccitanti suoni; degli odori penetranti per l’olfatto nella coscienza i desiati, amati, appaganti, grati, corrispondenti alle brame, eccitanti odori; dei sapori penetranti per il gusto nella coscienza i desiati, amati, appaganti, grati, corrispondenti alle brame, eccitanti sapori; dei contatti penetranti per il tatto nella coscienza i desiati, amati, appaganti, grati, corrispondenti alle brame, eccitanti contatti.
Scorgendo ora egli una forma con la vista, egli persegue le forme gratificanti e schiva le ingrate; inconscio, ignaro della corporeità, egli resta con animo chiuso e non pensa, conforme a verità, a quella redenzione d’animo e di sapienza in cui le sue cattive, dannose qualità si sciolgono senza residuo. Così egli cade in preda a contento e scontento, e qualsiasi sensazione egli provi, triste o lieta, o né triste né lieta, questa sensazione egli cova e cura e vi si aggrappa. Mentre egli cova e cura la sensazione e vi si aggrappa, sorge in lui soddisfazione: questo soddisfarsi delle sensazioni, ciò è l’attaccamento. A causa di questo attaccamento ha origine il divenire, a causa del divenire la nascita, a causa della nascita vecchiaia e morte, guai, sofferenze e pene, strazio e disperazione: così viene a determinarsi la formazione di questo intero tronco di dolore.
Ecco, voi monaci, appare il Compiuto nel mondo, il Santo, Perfetto Svegliato, il Provato di sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l’incomparabile Duce dell’umano gregge, il Maestro degli dei e degli uomini, lo Svegliato, il Sublime. Egli mostra questo mondo con i suoi dei, i suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di asceti e bramani, dei ed uomini, dopo che egli stesso lo ha conosciuto e compreso. Egli annunzia la dottrina, il cui principio, mezzo e fine beatifica, la dottrina fedele di senso e di parola: egli espone l’ascetismo perfettamente purificato e rischiarato.
Questa dottrina ascolta un padre di famiglia, o un figlio, o uno nato in altra condizione, e concepisce fiducia nel Compiuto. Pieno di questa fiducia, egli pensa e riflette così: “Un carcere è la casa, un letamaio; libero cielo il pellegrinaggio. Non si può, restando a casa, adempiere punto per punto l’ascetismo completamente purificato, completamente rischiarato. Che, se io ora, rasi capelli e barba, vestito dell’abito fulvo, traessi via dalla casa nell’eremo? Dopo qualche tempo egli abbandona una piccola proprietà o una grande proprietà, un piccolo o grande cerchio di parenti, si rade barba e capelli, indossa l’abito fulvo e trae via dalla casa nell’eremo.
Egli è ora divenuto pellegrino e si è assunto gli obblighi dell’ordine dei mendicanti. Egli ha smesso di uccidere, si astiene dall’uccidere. Senza mazza, senza spada, sensibile, pieno di simpatia, egli nutre per tutti gli esseri viventi amore e compassione. Egli ha smesso di prendere ciò che non è dato, si astiene dal prendere ciò che non è dato. Egli non prende se non gli è dato, aspetta ciò che è dato, senza intenzione furtiva, con cuore divenuto puro. Egli ha smesso la lussuria, vive casto, fedele alla rinunzia, estraneo alla comune legge dell’accoppiarsi. Egli ha smesso il mentire, si astiene dalla menzogna. Egli dice la verità, è devoto alla verità, dritto, degno di fede, non un ipocrita ed adulatore del mondo. Egli ha smesso la maldicenza, si atiene da maldicenza. Ciò che ha udito qui egli non racconta là, per disunire quelli, e ciò che ha udito là non racconta qui, per disunire questi. Così egli unisce disuniti, rafforza legati, concordia lo fa lieto, lo rallegra, lo rende felice; parole promoventi concordia egli parla. Egli ha smesso parole aspre, si astiene da parole aspre. Egli parla parole senza offesa, benefiche all’orecchio, amorevoli, che vanno al cuore, cortesi, che molti rallegrano, che molti sollevano.
Egli ha smesso le chiacchiere, si astiene da chiacchiere, egli parla a tempo debito, conforme ai fatti, pensoso del senso, fedele alla dottrina e all’ordine; il suo discorso è ricco di contenuto, occasionalmente ornato di paragoni, chiaro e determinato, adeguato al suo oggetto.
Egli si astiene dal cogliere frutti e piante. Una volta al giorno egli prende cibo; di notte sta digiuno; è lungi da lui il mangiare fuori tempo.
Egli si astiene da balli, canti, giochi, rappresentazioni. Non accetta corone, profumi, unguenti, ornamenti, acconciature, addobbi. Evita gli alti, ampi giacigli. Non accetta oro o argento, cereali crudi, carne cruda.
Non prende donne o fanciulli, servi o serve, capre o pecore, polli e porci, elefanti, buoi e cavalli. Non accetta terre, non assume messaggi, invii, incarichi. Si astiene da compra e vendita, si tiene lontano da falso peso e misura. Si tiene lontano dalle oblique vie della seduzione, simulazione, bassezza, si tiene lontano da zuffe, baruffe, risse, furti, prede e violenze.
Egli è contento dell’abito che copre il suo corpo, del cibo elemosinato che sostenta la sua vita; dovunque egli va fornito solo dell’abito e della scodella dell’elemosina: come un uccello, dovunque esso vola solo col peso delle sue piume.
Con l’adempimento di questi santi precetti di virtù egli prova un’intima, immacolata gioia.
Scorge ora egli con la vista una forma, egli non concepisce inclinazione, non concepisce interesse. Siccome brama ed avversione, cattivi e dannosi pensieri ben presto sopraffanno colui che sta con la vista non vigilata, egli attende a questa vigilanza, egli guarda la vista, egli vigila attentamente sulla vista.
Ode ora egli con l’udito un suono.
Odora egli con l’olfatto un odore.
Gusta egli con col gusto un sapore.
Tocca egli col tatto un contatto.
Riconosce ora egli col pensiero una cosa, egli non concepisce inclinazione, non concepisce interesse. Siccome brama ed avversione, cattivi e dannosi pensieri ben presto sopraffanno colui che sta col pensiero non vigilato, egli attende a questa vigilanza, egli guarda il pensiero, egli vigila attentamente sul pensiero.
Con l’adempimento di questo santo frenamento dei sensi egli prova un’intima, inalterata gioia. Chiaro e cosciente egli viene e va, chiaro e cosciente egli guarda e distoglie lo sguardo, si alza e si muove, porta l’abito e la scodella delle elemosine, mangia e beve, mastica e gusta, chiaro e cosciente egli si svuota di sterco e di urina, va, sta e siede, si addormenta e si sveglia, parla e tace.
Fedele a questi santi precetti di virtù, a questo santo frenamento dei sensi, a questo chiaro sapere, egli cerca un luogo appartato di riposo, un bosco, il piede di un albero, una grotta nelle rupi, una caverna di montagna, un cimitero, il folto della foresta, un giaciglio di strame nell’aperta pianura. Dopo il pasto, quando è tornato dal giro di elemosina, egli siede con le gambe incrociate, il corpo diritto e sollevato e medita.
Egli ha smesso brame mondane e sta con animo senza brame, da brame egli terge il suo cuore. Egli ha smesso l’avversione, sta con animo senza avversione; pieno di amore e compassione per tutti gli esseri viventi, egli terge il suo cuore dall’avversione. Egli ha smesso l’accidiosa pigrizia, è libero da accidiosa pigrizia; amante la luce, savio, chiaro, cosciente, egli terge il suo cuore da accidiosa pigrizia. Egli ha smesso superbia e fastidio, è libero da superbia, con animo intimamente pacato egli terge il suo cuore da superbia e fastidio. Egli ha smesso il tentennare, è sfuggito all’incertezza, non dubita di ciò che è salutare, dal tentennare egli terge il suo cuore.
Egli ha ora tolto questi cinque impedimenti, ha imparato a conoscere le scorie dell’animo, paralizzanti; ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, egli raggiunge in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, il grado della prima contemplazione. Poi il monaco raggiunge l’interna calma serena, l’unità dell’animo, la seconda contemplazione. Poi egli prova nel suo corpo quella felicità di cui i santi dicono: “L’equanime savio vive felice, il grado della terza contemplazione. E ancora, dopo rigetto di gioia e dolore, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, il monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza, il grado della quarta contemplazione.
Scorge ora egli con la vista una forma ma non persegue le forme grate e non schiva le ingrate; conscio, veggente della corporeità, egli resta con l’animo aperto e pensa, conforme a verità, a quella redenzione d’animo, redenzione di sapienza, dove le sue cattive, dannose qualità si sciolgono senza residuo. Così egli si è staccato da contento e scontento, e qualsiasi sensazione egli provi, lieta o triste, o né triste né lieta, questa sensazione egli non cova e non cura, e non vi si aggrappa: così si distrugge quel soddisfarsi delle sensazioni, col distruggersi di quella sensazione si distrugge l’attaccamento, con la distruzione dell’attaccamento si distrugge il divenire, con la distruzione del divenire si distrugge la nascita, con la distruzione della nascita si distrugge vecchiaia e morte, guai, sofferenze e pene, strazio e disperazione.
Questo, voi monaci, serbatelo, compendiato, sotto il titolo di Redenzione mediante l’annientamento della sete. Il monaco Sati però, il figlio del pescatore, consideratelo impigliato nelle possenti maglie della sete, nei lacci della sete.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci sulla parola del Sublime.