Majjhima Nikāya 65
Bhaddāli Sutta
Bhaddāli
Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Sāvatthī, nella Selva del Vincitore, nel giardino di Anāthapindiko. Là il Sublime così si rivolse ai monaci: “Io, monaci, prendo il cibo una sola volta al giorno, e così facendo conservo salute, freschezza, vigore, forza e benessere. Ora, se lo fate anche voi, serberete salute, freschezza, vigore, forza e benessere.”
A queste parole l’on. Bhaddāli replicò: “Io però, Signore, non posso prendere il cibo una sola volta al giorno: se facessi così proverei fastidio e molestia.”
“Allora tu, Bhaddāli, del cibo che ti è offerto, una parte puoi mangiarla sul posto ed una parte portala via per mangiarla in seguito [ma prima di mezzogiorno]: anche così il cibo ti sostenterà.” “Anche così però, Signore, non posso mangiare: anche così il cibo mi darebbe fastidio, mi darebbe molestia.”
Ora dunque l’on. Bhaddāli, mentre il Sublime dava un precetto, e l’Ordine dei mendicanti lo accoglieva, manifestò la sua incapacità di osservarlo. L’on. Bhaddāli per tutti i tre mesi [del monsone] non si fece vedere dal Sublime perché egli non stava osservando la regola del Maestro.
Durante quel periodo alcuni monaci lavoravano a rappezzare l’abito del Sublime perché, pronto l’abito, trascorsi i tre mesi, il Sublime avrebbe ripreso il pellegrinaggio. L’on. Bhaddāli si recò là dove si trovavano quei monaci, ci fu uno scambio di cortesi saluti ed amichevoli parole, e quei monaci gli dissero ciò che stavano facendo, e lo avvertirono: “Bada, amico Bhaddāli, il Sublime, trascorsi i tre mesi, riprenderà il pellegrinaggio. Attento a questo avvertimento, affinché dopo tu non abbia a rammaricarti [di non esserti fatto vedere da Lui].”
“Sì, amici!”: replicò allora l’on. Bhaddāli, e si recò là dove il Sublime dimorava. Salutò riverentemente, sedette a lato e disse al Sublime: “Un fallo mi ha sorpreso, come uno stolto, come un insensato, come uno sconsigliato: mentre il Sublime esponeva un precetto della regola, e l’ Ordine dei mendicanti lo accoglieva, palesai la mia incapacità di osservarlo. Voglia il Sublime accettare da me confessione del fallo, per evitarlo in futuro.”
“Infatti, Bhaddāli, un errore ti ha sorpreso mentre davo una regola e l’ Ordine l’accoglieva, manifestando la tua incapacità. Giacché tu non hai badato a questo fatto: ‘Il Sublime saprà che non osservo il precetto del Maestro’. E non hai neppure osservato che molti monaci, molte monache, molti seguaci e molte seguaci, molti e diversi penitenti, asceti e sacerdoti che ora passano a Sāvatthī la stagione delle piogge, sapranno che non hai osservato la regola secondo il precetto del Maestro.”
“È così, Signore, un fallo mi ha sorpreso, come uno stolto, come un insensato, come uno sconsigliato: mentre il Sublime esponeva un precetto e l ‘Ordine dei mendicanti lo accoglieva, palesai la mia incapacità. Voglia il Sublime accettare da me confessione del fallo, per evitarlo in futuro.”
“Tu che pensi, Bhaddāli: se qui vi fosse un monaco d’ambo i lati redento e io gli dicessi: ‘Vai, monaco, entra nel fango’; egli non vi entrerebbe, dirigerebbe altrove i suoi passi, o direbbe forse di no?”
“Questo no, Signore!”
“E se qui vi fosse un monaco redento di sapienza, testimone del corpo, un rischiarato, redento di fede, dedito alla dottrina, dedito alla fede, ed io gli dicessi: ‘Vai, monaco, entra nel fango’; egli non vi entrerebbe, dirigerebbe altrove i suoi passi, o direbbe forse di no?”
“Questo no, Signore!”
“Tu che pensi, Bhaddāli: eri forse anche tu, in quella occasione, un redento d’ambo i lati o un redento di sapienza, testimone del corpo, un rischiarato, redento di fede, dedito alla dottrina, dedito alla fede?”
“Questo no, Signore!”
“Non sei stato tu, in quella occasione, vano, fatuo e colpevole?”
“Sì, Signore! Un fallo mi ha sorpreso, come uno stolto, come un insensato, come uno sconsigliato. Voglia il Sublime accettare da me confessione del fallo, per evitarlo in futuro.”
“Infatti, Bhaddāli, è così. Siccome ora riconoscendo il fallo come fallo, lo hai confessato conforme a verità, noi lo accettiamo perché è un progresso nell’Ordine del santo per chi, riconoscendo ciò, lo confessa conforme a verità e lo evita in futuro.
Ecco, Bhaddāli, un monaco non adempie la regola secondo il precetto del Maestro, e pensa: ‘Se ora cercassi un solitario sito di riposo, il piede d’un albero nella foresta, una caverna nelle rupi, una grotta nella montagna, un cimitero, il folto della selva, un mucchio di paglia nell’aperta pianura, e potessi così realizzare il sovrumano, ricco santuario della chiarezza del sapere?’ Ed egli fa proprio così, ma mentre egli vive là ritirato, il Maestro lo biasima, i condiscepoli a ragion veduta lo biasimano, e così fanno le divinità e lui stesso. A causa di tutto quel biasimo egli non realizza il sovrumano, ricco santuario della chiarezza del sapere. E perché ciò? Perché così avviene a chi non adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
Ecco che un monaco adempie la regola secondo il precetto del Maestro. Ed egli si ritira in uno di quei posti che abbiamo indicato, e si augura: ‘Potessi io così realizzare il sovrumano, ricco santuario della chiarezza del sapere?’ Mentre egli vive là ritirato, il Maestro non lo biasima, e non lo biasimano i condiscepoli, le divinità e neppure lui stesso. Così non biasimato da nessuno egli realizza il sovrumano, ricco santuario della chiarezza del sapere. Egli così, ben lungi da brame, da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
E inoltre ancora: il monaco, dopo compimento del sentire e pensare, raggiunge l’interna calma, l’unità dell’animo, la beata serenità libera di sentire e pensare, nata dal raccoglimento, il grado della seconda contemplazione. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
E inoltre ancora: il monaco equanime, savio, chiaro cosciente dimora in serena pace, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono: ‘l’ equanime savio vive felice’; così egli raggiunge il grado della terza contemplazione. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
E inoltre ancora: il monaco, dopo il rigetto di gioia e dolore, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza: il grado della quarta contemplazione. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
Egli così, con tale animo, intimo, purificato, terso, schietto, schiarito di scorie, incorruttibile, rivolge la mente alla memore conoscenza di molte anteriori forme di esistenza, ognuna con le proprie caratteristiche, ognuna con le proprie relazioni. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
Egli così, con tale animo, rivolge la mente alla cognizione dello sparire ed apparire degli esseri. Con l’occhio celeste, rischiarato, sovrumano egli vede gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici, egli riconosce come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.
Egli così, con tale animo, rivolge la mente alla cognizione dell’esaurimento della mania (āsava). Egli riconosce conforme a realtà: ‘Questo è il dolore’ ; ‘Questa è l’origine del dolore’; ‘Questa è la fine del dolore’; ‘Questa è la via che conduce alla fine del dolore’. Egli riconosce conforme a realtà: ‘Questa è la mania’; ‘Questa è l’origine della mania’; ‘Questa è la fine della mania’; ‘Questa è la via che conduce alla fine della mania’. Avendo così riconosciuto, così veduto, il suo animo si redime dalla mania del desiderio, dalla mania dell’esistenza, dalla mania dell’ignoranza. ‘Nel redento è la redenzione’: questa cognizione sorge. ‘Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo’: egli comprende. E perché ciò? Perché così avviene a chi adempie la regola secondo il precetto del Maestro.”
Dopo queste parole l’on. Bhaddāli disse al Sublime: “Qual è dunque, Signore, la ragione, la causa per cui a qualche monaco si fa di tanto in tanto un’osservazione, e a qualche altro no?”
“Ecco, Bhaddāli, un monaco ha ripetutamente molto trasgredito; ed egli, ammonito dai monaci, tergiversa, svia il discorso e manifesta ira, astio e sfiducia; non si volge al bene, non cede, non si placa e non dice: ‘Ciò che all’Ordine è gradito, lo voglio fare’. Allora i monaci, consapevoli di ciò, si consigliano così: ‘Bene sarebbe, onorevoli, fare attenzione a questo monaco, così che la nostra osservazione non svanisca subito’. E così fanno.
Ecco, Bhaddāli, un monaco ha ripetutamente molto trasgredito; ed egli, ammonito dai monaci, non tergiversa, non svia il discorso e non manifesta ira, astio e sfiducia; si volge al bene, cede, si placa e dice: ‘Ciò che all ‘Ordine è gradito, lo voglio fare. Allora i monaci, consapevoli di ciò, si consigliano così: ‘Bene sarebbe, onorevoli, fare attenzione a questo monaco, così che la nostra osservazione svanisca subito’.
Ecco, Bhaddāli, un monaco ha raramente e poco trasgredito, ed egli, ammonito dai monaci, tergiversa, svia il discorso e manifesta ira, astio e sfiducia; non si volge al bene, non cede, non si placa e non dice: ‘Ciò che all’Ordine è gradito, lo voglio fare’. Allora i monaci, consapevoli di ciò, si consigliano così: ‘Bene sarebbe, onorevoli, fare attenzione a questo monaco, così che la nostra osservazione non svanisca subito’. E così fanno. Ed ecco, Bhaddāli, un monaco ha raramente e poco trasgredito, ed egli, ammonito dai monaci, non tergiversa, non svia il discorso e non manifesta ira, astio e sfiducia; si volge al bene, cede, si placa e dice: ‘Ciò che all’Ordine è gradito, lo voglio fare. Allora i monaci, consapevoli di ciò, si consigliano così: ‘Bene sarebbe, onorevoli, fare attenzione a questo monaco, così che la nostra osservazione svanisca subito’.
Ecco, Bhaddāli, uno è divenuto monaco solo per una certa fiducia, solo per una certa inclinazione. Allora i monaci, consapevoli di ciò, si consigliano così: ‘Se noi faremo di tanto in tanto a questo monaco un’osservazione, allora anche questa sua certa fiducia ed inclinazione non andrà perduta’.
Così come se un uomo avesse un occhio solo, i suoi amici e congiunti glielo proteggerebbero: ‘Perché egli ha solo un occhio, non deve anche questo andare perduto’. Questa è la ragione e la causa per cui a qualche monaco si fa di tanto in tanto una osservazione, ed a qualche altro no.”
“Qual è ora, Signore, la ragione, la causa per cui prima vi erano meno precetti, e più monaci vivevano fermamente; e quale la ragione, la causa per cui oggi vi sono più precetti, e meno monaci vivono fermamente?”
“Così avviene, Bhaddāli, quando gli esseri peggiorano e la vera dottrina decade. Il Maestro non dà la regola ai discepoli, prima che alcune cose insane si palesino nell’Ordine. Appena ciò accade, allora il Maestro dà la regola per respingerle. Cose insane non si palesano nell’Ordine, prima che l’Ordine abbia raggiunto grandezza; prima che abbia ottenuto grandi doni, grande onore, molta erudizione, molta esperienza. Appena ciò accade, il Maestro deve provvedere. Pochi veramente eravate voi quella volta in cui io vi esposi la dottrina col paragone del puledro puro sangue: te ne ricordi, Bhaddāli?”
“Veramente no, Signore!”
“Che ragione puoi darne?”
“Forse io per lungo tempo non ho osservato la regola secondo il precetto del Maestro.”
“Non è solo questa la ragione, la causa; ma anche [il fatto che] da lungo tempo intuendo con la mia, la tua mente, io ho compreso: ‘Non si sforza quest’uomo stolto quando io espongo la dottrina, facendo attenzione, costringendo la mente, dedicandosi con tutto l’animo ad ascoltare con orecchio aperto la dottrina’. Ma ti voglio esporre la dottrina col paragone del puledro puro sangue: ascolta e fai bene attenzione a ciò che dirò.
Come un esperto addestratore di cavalli, avendo ricevuto un bel puledro puro sangue, prima gli fa fare esercizio col morso; ed esso, mentre si esercita col morso, mostra ogni sorta di sfrenatezza, irrequietezze perché non ha mai fatto prima tale esercizio, ma poi, con ripetuti, successivi esercizi, esso si acquieta. Quando ciò è accaduto, l’esperto addestratore gli fa fare un ulteriore esercizio aggiogandolo; ed esso nuovamente mostra ogni sorta di sfrenatezza, irrequietezze perché non ha mai fatto prima tale esercizio, ma poi, con ripetuti, successivi esercizi, esso si acquieta. Allora l’addestratore gli fa fare ulteriori esercizi facendolo andare al trotto, al galoppo, di carriera, con portamento e andatura regale, rendendolo il più veloce, il più bravo, il più docile dei cavalli ed esso, dapprima irrequieto e ribelle, poi, con ripetuti, successivi esercizi, si acquieta. Infine l’esperto addestratore gli dà l’ultima stringatura e strigliatura. Queste sono le dieci proprietà che rendono un bel puledro puro sangue buono per il re, adatto al re. Altrettante dieci cose fanno attribuire al monaco sacrificio, elargizione, dono e salute, e lo rendono la più santa sede del mondo. Quali? Eccole: un monaco ha acquistato fermamente retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere, retto raccoglimento, retta sapienza, retta redenzione.”
Questo disse il Sublime. Contento si rallegrò l’onorevole Bhaddāli per le sue parole.