Majjhima Nikāya 12

Mahāsihanada Sutta

Il grande ruggito del leone

Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Vesali, fuori della città, al margine della foresta. Allora Sunakkhatto, un principe Licchavio, da poco uscito dall’Ordine, diceva per tutta Vesali: “L’asceta Gotamo non possiede il sopraterreno ricco santuario della chiarezza del sapere: l’asceta Gotamo proclama una sottile, intricata dottrina, che egli stesso ha ideato ed escogitato; e lo scopo per cui egli espone la sua dottrina, e’ semplicemente questo: che chi riflette raggiunge totale annientamento del dolore.”

Ora avvenne che l’onorevole Sariputto, munito di mantello e scodella, avviatosi per l’elemosina verso Vesali, udì ciò che il principe Sunakkhatto diceva in giro per tutta Vesali. Quindi, allorché torno’ indietro, dopo aver consumato il cibo elemosinato, si reco’ presso il Sublime e Gli riferì ciò che il principe diceva. Cosi’ disse il Sublime:

“O Sariputto, Sunakkhatto e’ vano e iracondo, perché solo per l’ira ha pronunciato quelle parole: egli vuole biasimare il Compiuto, ma con ciò loda il Compiuto, perché e’ lode al Compiuto dire: lo scopo per cui egli esprime la sua dottrina e’ semplicemente questo: che chi riflette raggiunge totale annientamento del dolore.

Certo, Sunakkhatto non pensa di me, conforme a verità, : Questo e’ il Sublime, il perfetto Svegliato, il Santo, l’Esperto di sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l’incomparabile duce dell’umano gregge, il maestro degli dei e degli uomini, lo Svegliato, il Sublime. E inoltre: questo e’ il Sublime, che in vari modi si allegra di magica potenza: che da uno diviene molteplice, e molteplice, uno; che appare e dispare; che attraverso rupi, valli e muri si libra e passa come per l’aria; che sulla terra emerge e s’immerge come nell’acqua; che sull’acqua cammina senza affondare come sulla terra; che attraverso l’aria procede sedendo come l’uccello con i suoi piccoli; che sente e tocca con mano questa luna e questo sole, cosi’ possenti, cosi’ violenti; che ha il corpo in suo potere fino ai mondi di Brahma. E ancora: questo e’ il Sublime, che con l’orecchio celeste, purificato, sopraterreno, sente due specie di suoni, i celesti e i terreni, i lontani e i vicini. E ancora: questo e’ il Sublime, che agli altri esseri, alle altre persone, scruta a fondo e riconosce animo e cuore; riconosce il cuore bramoso e quello senza brama, il cuore astioso e quello senz’astio, il cuore errante e quello senza errore, il cuore raccolto e quello distratto, il cuore tendente all’alto e quello di basso sentire, il cuore nobile e quello volgare, il cuore calmo e quello inquieto, il cuore redento e quello vincolato.

Vi sono dieci virtù, o Sariputto, che convengono e spettano al Compiuto, per comprendere quel che e’ sorprendente, per far risuonare tra le genti il ruggito del leone, per fondare il regno della santità; queste dieci virtù sono: il Compiuto, o Sariputto, comprende il vero e il falso, conforme a verità. Comprende vere e reali conseguenze di azioni passate, presenti e future, conforme a verità. Conosce la Via che mena dappertutto, conforme a verità. Conosce, conforme a verità, come il mondo sia composto da singoli elementi e da diversi elementi. Conosce, conforme a verità, le diverse inclinazioni degli esseri. Conosce la misura data dai sensi agli altri esseri, alle altre persone, conforme a verità. Conosce, conforme a verità, colpa, purezza ed esito del contemplante redento e raccolto. Si ricorda di diverse forme di esistenza anteriori come di una vita, due vite, cento vite, mille vite, centomila vite; la’ ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, il mio officio, provai tale bene e male, cosi’ fu la fine della mia vita; di la’ trapassato entrai io altrove di nuovo in esistenza. Cosi’ egli si ricorda di molte diverse anteriori forme di esistenza, ognuna con i propri contrassegni, ognuna con le sue speciali relazioni. E inoltre, ancora o Sariputto, il Compiuto con l’occhio celeste, rischiarato, sopraterreno vede gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e non belli, felici ed infelici, ed egli riconosce come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono: questi, non retti in azioni, parole e pensieri con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, pervengono giù, su cattivi sentieri, alla perdizione, nel precipizio; quelli, retti in azioni, pensieri e parole, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, pervengono su buoni sentieri, in mondo elevato. E inoltre il Compiuto, estinta la mania, ancora durante la vita ha reso a se’ palese, realizzato e conquistato la redenzione dell’animo.

Queste sono, o Sariputto, le dieci virtù che spettano al Compiuto.

Quattro specie di sicurezza vi sono che spettano al Compiuto, che chicchessia non potrebbe obiettarmi perché false, e che perciò mi lascerebbero tranquillo, imperturbato, sicuro, e sono:

Perfetto Svegliato, tu ti chiami, e’ vero, ma queste cose non le hai riconosciute; esausto di mania tu ti chiami, e’ vero, ma tale mania non e’ estinta; ciò che tu indichi come dannoso, ciò a chi lo fa non riesce dannoso; e se anche tu esponi la tua dottrina con una certa intenzione, pure essa non giunge a dare a chi riflette totale annientamento del dolore.

Chi, ora, o Sariputto, in tal modo parlasse: l’asceta Gotamo non possiede il sopraterreno, ricco santuario della chiarezza del sapere; l’asceta Gotamo proclama una sottile, intricata dottrina, che egli stesso ha ideata ed escogitata, chi non si pentisse di parlare cosi’ e non rinunciasse a tale opinione, costui potrebbe, per suo stesso volere, rovinare per mala via.

Otto adunanze, vi sono, o Sariputto: quella dei nobili, dei sacerdoti, dei borghesi, degli asceti, degli dei delle quattro regioni, dei trentatré dei, degli dei naturali e degli dei celesti. Ebbene il Compiuto, cinto di quella quadrupla sicurezza si reca alle otto adunanze. Ed io ricordo di essere stato tra molte centinaia di nobili; innanzi a me essi sedevano, ed io parlavo con essi e noi scambiavamo cosi’ domande e risposte. Che io potessi allora cadere in confusione o imbarazzo, tale possibilità o Sariputto, non esiste. Perciò rimango tranquillo, imperturbato, sicuro. Alla stessa stregua io ricordo di essere stato tra molte centinaia di sacerdoti, borghesi, asceti e molteplici dei.

Vi sono, o Sariputto, quattro specie di grembi, e sono: il grembo dell’uovo, dove gli esseri vengono al mondo rompendo il guscio dell’uovo: il grembo del corpo, dove gli esseri vengono al mondo fuoriuscendo dall’involucro del corpo; il grembo del fermento dove gli esseri si formano nel pesce o nella carne o nel cibo putrefatto, o vengono al mondo in paludi o pantani; e il regno dell’apparizione, dove si manifestano dei, demoni, alcuni uomini e vari spiriti.

Cinque tracce vi sono, o Sariputto, ed io conosco che esse sono la falsa via, ovvero il sentiero che mena giù ed il suo agire, seguendo i quali si giunge, dopo la morte a perdizione e danno, in luogo di spasimo e strazio; la generazione animale, l’agire e il sentiero che mena alla generazione animale; il regno degli spiriti, ed il sentiero e l’agire che ivi conduce; gli uomini, l’agire ed il sentiero che mena al mondo degli uomini; gli dei ed il sentiero che mena al loro mondo di gioia celeste.

E l’estinzione, io conosco, ed il sentiero e l’agire che mena all’estinzione, seguendo i quali, dopo l’estinguersi della mania, ancora durante la vita, si rende palese, si realizza, si conquista e si possiede la redenzione dell’animo senza mania, redenzione di saggezza: anche questa via io conosco. Queste sono le cinque tracce.

E inoltre, o Sariputto, io ricordo i tempi delle quattro ascesi da me esercitate: ascesi fervente, orrenda, afflitta, solinga.

Cosi’ ho praticato il fervore: io ero un ignudo, uno svincolato, un flagellante, uno che non arriva, che non aspetta; non accettavo offerta, non favore, non invito; nel ricevere l’elemosina, non spiavo verso la pentola, non verso il piatto, non sopra la soglia, non sopra la grata, non dentro il caldaio; non prendevo da chi mangia a due, non da una incinta, non da una lattante, non da una che viene dall’uomo, non da insudiciati, non dove sta presso un cane, non dove ronzano mosche; non mangiavo pesce, non carne; non bevevo vino, non liquore, non succo d’avena fermentata. Io andavo ad una casa e mi contentavo con una manciata di elemosina; andavo a due case e mi contentavo di due manciate; andavo a sette case e mi contentavo di sette manciate d’elemosina. Io sostentavo la mia vita con l’elemosina di una sola largitrice, di solo due largitrici, di solo sette largitrici. Io mi cibavo solo una volta al giorno, solo ogni due giorni, solo ogni sette giorni. Cambiando in questo modo, io osservavo rigorosamente questo esercizio di digiuno fino a mezzo mese.

Ed io vivevo di erbe e di funghi, di riso e grani selvaggi, di semi e noccioli, di latte di piante e resina d’albero, di gramigne, di sterco di bue; mi sostentavo di radici e frutti del bosco; vivevo di frutti caduti.

Ed io portavo la tunica di canapa, di crini, una veste rattoppata di pezze raccolte al cimitero o sulla strada; mi avvolgevo in stracci, in pezzi di pelle, di cuoio; mi cingevo con trecce di gramigna, di scorza, con trecce di foglie; nascondevo le nudità sotto grembiali di crini, di setole, sotto un’ala di civetta.

Ed io mi strappai i peli del capo e della barba, seguendo la regola di coloro che cosi’ fanno; fui un sempre alzato, rigettai sedile e giaciglio; fui un sedente sui calcagni; fui uno di quelli che si coricano sulle spine; scesi per tre volte ogni sera nel bagno di penitenza. E questo e’ stato il mio fervore.

E cosi’ o Sariputto, ho poi curato l’orridezza: io lasciavo accumulare sul corpo la sporcizia e la polvere di molti anni, fino a cadersene, come sul tronco dell’ebano si addensa la polvere di anno in anno fino a cadersene. E non mi veniva nessun pensiero di questo genere: ‘ah, potessi finalmente tergermi da questa polvere e sporcizia, o potessero farlo altri!’. E questa e’ stata la mia orridezza.

E cosi’ o Sariputto, ho poi coltivato afflizione: ogni mio passo era guidato da chiara coscienza, e perfino una goccia d’acqua muoveva in me la compassione: ‘ah, che io non apporti danno ai piccoli esseri perduti!’.

E cosi’, Sariputto, ho appreso la solitudine: io mi addentravo in qualche bosco e vi dimoravo; ma se scorgevo un mandriano o un pastore, un cercatore d’erbe o legnaiolo o raccoglitore di fascine, allora fuggivo di foresta in foresta, di selva in selva, di valle in valle, di monte in monte, perché quelli non dovevano vedermi ed io non volevo vedere loro: alla stessa stregua di una fiera del bosco che abbia visto uomini. E questa e’ stata la mia solitudine.

Ed io poi, Sariputto, quando i mandriani erano via, scendevo alle mandre, alle vacche attaccate e raccoglievo, camminando carponi, lo sterco dei giovani vitelli lattanti, e mi nutrivo di ciò. E ciò che ne rimaneva indigesto, come mio proprio escremento o urina, anche quello io prendevo. E questo, Sariputto, e’ stato il mio grande calice di feccia.

Ed io mi sono poi recato in un’altra orrenda selva a dimorarvi. In quella spaventosa solitudine, regnava tale orrore, che ad ogni non santificato viandante subito si rizzavano i capelli. E durante le fredde, glaciali notti d’inverno, al tempo del gelo, io mi trattenevo di notte in una radura, e di giorno nel folto del bosco. E mi si presento’ allora questa spontanea strofa, mai prima sentita:

Al sole avvampa e intirizzisce al gelo un eremita in tant’orrenda selva spirando ed inspirando via via, ignudo, solo, senza focolare.

Ed io passai poi oltre, ad un cimitero, e mi distesi sopra un mucchio d’ossa imputridite. Ed allora vennero figli di pecorai che mi sputarono, mi bagnarono e mi lordarono di sporcizia e mi introdussero erbe aguzze nelle orecchie. Eppure io non ricordo che in me fosse sorto un cattivo pensiero contro di essi. E questa, Sariputto, e’ stata la mia equanimità.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: il nutrimento purifica, ed ammoniscono: viviamo di giuggiole. E consumano giuggiole, mangiano conserva di giuggiole, bevono succo di giuggiole, gustano ogni sorta di pietanza di giuggiole. Io ricordo di aver mangiato solo una giuggiola come nutrimento quotidiano. Tu forse pensi, o Sariputto, che a quel tempo le giuggiole fossero più grosse di quelle odierne, ma cosi’ non e’. E mentre io prendevo solo una giuggiola come nutrimento quotidiano, il mio corpo divenne straordinariamente magro.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: il nutrimento purifica, ed ammoniscono: viviamo di fave; viviamo di sesamo; viviamo di riso. Ed essi consumano riso, mangiano zuppa di riso, bevono acqua di riso, gustano ogni sorta di pietanza di riso. Io ricordo di aver mangiato solo un grano di riso come nutrimento quotidiano, e cosi’ il mio corpo divenne straordinariamente magro.

Le mie braccia e le gambe divennero come canne secche, appassite, per questo nutrimento estremamente scarso; il mio sedere divenne come un piede di cammello, la mia spina dorsale con le vertebre sporgenti divenne come un rosario; come le travi del tetto d’una vecchia casa sporgono, cosi’ sporgevano le mie costole; come in una profonda fontana i sottostanti specchi d’acqua rilucono evanescentemente piccoli, cosi’ rilucevano nelle mie orbite le infossate pupille; come una zucca selvaggia, tagliata fresca, al caldo diviene vuota e grinzosa, cosi’ divenne la mia pelle del capo vuota e grinzosa. E quand’io volevo toccare il ventre, giungevo alla spina dorsale, e quando volevo toccare la spina dorsale, giungevo di nuovo al ventre. E se io volevo svuotare feci e urina cadevo innanzi; per rinforzare allora questo corpo, io strofinavo con la mano le membra: e mentre cosi’ facevo se ne cadevano i peli, putridi alle radici.

E anche questa via, questa disciplina, questa dura ascesi, non mi porto’ più vicino al sopraterreno, ricco santuario della chiarezza del sapere; questo perché io non avevo ancora conquistato quella saggezza la cui conquista da’ a chi riflette totale annientamento del dolore.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: il giro purifica; eppure non e’ affatto gradevole il girare: ed io in questo lungo cammino in nessun altro luogo l’ho trovato tale se non presso i puri dei. Ma se anche io dovessi rigirare tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: la nascita purifica; eppure non e’ affatto gradevole la nascita: ed io in questo lungo cammino in nessun altro luogo l’ho trovata tale se non presso i puri dei. Ma se anche io dovessi rinascere tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: la vita purifica; oppure: la beneficenza purifica; oppure: il sacrificio del fuoco purifica. Eppure non e’ affatto gradevole la vita; ed io in questo lungo cammino in nessun luogo l’ho trovata tale se non presso i puri dei. Ma se anche dovessi rivivere tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo. E non e’ affatto facile la beneficenza: ed io in questo lungo cammino non ho potuto farla se non come re guerriero o potente bramano. E non e’ affatto facile il sacrificio del fuoco; ed io in questo lungo cammino non ho potuto offrirlo se non come re guerriero o potente bramano.

Parecchi asceti e bramani dicono e insegnano: Fintanto che questo caro uomo e’ giovane e forte, splendente di capelli neri, nel godimento ella felice giovinezza, nella prima età virile, egli possiede anche le più alte forze dello spirito. Ma quando quest’uomo e’ divenuto vecchio e grigio, grave d’anni, vicino alla fine, vissuto, un ottantenne o novantenne, o centenario, allora si dileguano da lui quelle forze dello spirito. Eppure ciò o Sariputto, non e’ in tutti i casi esatto. Io sono già ora divenuto vecchio e grigio, e grave d’anni, vicino alla fine, vissuto, sono nell’ottantesimo anno. Cosi’ come un nervoso arciere ammaestrato e provetto, potrebbe con facilita’ lanciare una freccia leggera al di sopra di una palma, cosi’ potrebbero fare quattro eventuali miei discepoli che fossero sempre sensibili, virtuosi, forti, e dotati delle più alte forze dello spirito. Ed essi mi ponessero domande su domande, come sui quattro pilastri del sapere, ed io rispondessi loro fornendo spiegazioni. Inesplicata rimarrebbe la testimonianza e l’indicazione del Compiuto sulla verità, perché anche quei quattro eventuali discepoli diverrebbero a loro volta vecchi di cent’anni, morendo poi in seguito. E quando voi mi porterete sul letto, o Sariputto, la forza di spirito del Compiuto sarà immutata.

Chiunque di me a buon diritto può dire: un essere senza vanità e’ apparso nel mondo, per il bene di molti, per la salute di molti, per compassione del mondo, per utile, bene e salute degli dei e degli uomini.

Ora durante questo tempo l’onorevole Nagasamalo era stato dietro il Sublime sventolandogli aria fresca e si rivolse al Sublime cosi’: e’ mirabile, o Signore, straordinario, che io, mentre ascoltavo questa esposizione, mi sono sentito rabbrividire; come deve chiamarsi, Signore, questo discorso? Orsù, dunque, Nagasamalo, serbalo allora sotto il nome di discorso del rabbrividire.

Cosi’ parlo’ il Sublime. Contento si rallegro’ l’onorevole Nagasamalo della parola del Sublime.